QUINTA TAPPA DELLA NOSTRA RUBRICA “AGRIGENTINI ILLUSTRI” (5/14)
“In la chitati di Girgenti – come narra Goffredo Malaterra nel siciliano di fra Simone da Lentini – (Ruggero, il Gran Conte) fichi eposcopatu et cathedra episcopali et dotaulu di terra et di dechimi et diversi cosi copiusamenti, in perpetuum, per hereditati e fichindi boni privilegi et boni strumenti et dedinchi boni et belli ornamenti di altari et vestimenti et paramenti et tutti li necessari chi fannu bisognu. Poy fichi fari unu episcopu chi haviva nomu Gerlandu lu quali era di nationi di li Allobrogi et fui homu di grandi caritati et di grandi litteratura et eruditu in li scientii ecclesiastici. Nota quod iste qui fuit primus, fuit sanctus “
Fra Simone da Lentini
Mi chiamo Gerlando e la mia storia è quella di un uomo chiamato a una missione straordinaria: riportare la luce del Cristianesimo in una terra oscurata da secoli di dominazione islamica. Quando Ruggero il normanno mi offrì l’episcopato di Agrigento, sapevo che mi attendeva un’impresa ardua. Ma sentii la chiamata di Dio e non potei tirarmi indietro.
Arrivai ad Agrigento e trovai una città e una diocesi in rovina, con pochissimi cristiani rimasti. La grandezza della mia opera si misura dalle difficoltà che affrontai: ricostruire la Chiesa, riorganizzare la diocesi, riportare la fede in un territorio vasto e popolato da diverse comunità religiose. Con me, i miei fedeli compagni Deodato, Gerardo, Noberto e Gerardo, e altri valorosi che si unirono alla nostra causa. Ruggero mi assegnò una diocesi immensa, i cui confini si estendevano da Corleone a Licata, inglobando territori dell’antica Triocala. Un’opera quasi sovrumana, considerando le distanze, i mezzi di comunicazione dell’epoca e la scarsità di sacerdoti. Ma con l’aiuto di Dio e la tenacia dei miei collaboratori, riorganizzai la diocesi, fondai la cattedrale e l’episcopio, e riportai la fede tra la gente.
Fui uomo di cultura e fede
Prima di questa missione, fui scolastico a Besançon, dove mi dedicai all’insegnamento e allo studio delle discipline del tempo. La Provvidenza mi aveva preparato per questa missione, dandomi la forza e la saggezza per affrontare le sfide che mi attendevano. La mia nomina a vescovo fu confermata da Papa Urbano II, che mi consacrò “come per le mani di San Pietro”. Un legame forte con la sede di Roma, che mi diede la forza di portare avanti la mia missione. La mia opera fu ispirata alla riforma cluniacense e gregoriana, con fedeltà alla cattedra di Pietro, carità, verità e generosità verso tutti. Negli ultimi anni della mia vita, assistetti alla morte di Urbano II e all’elezione di Pasquale II. Morii il 25 febbraio 1100, dopo aver dedicato la mia vita alla rinascita della Chiesa agrigentina. Troverete la mia figura nella decorazione musiva del duomo di Monreale, a testimonianza dell’unità e della continuità della Chiesa siciliana. La mia eredità è ancora viva nella Chiesa agrigentina, dove sono venerato come patrono e protettore.
