QUARTA TAPPA DELLA NOSTRA RUBRICA “AGRIGENTINI ILLUSTRI” (4/14)
Un ponte tra Empedocle e la fede cristiana
“Gregorio fu uno dei più illustri agrigentini”, afferma Picone nelle sue “Memorie Agrigentine”, tracciando un parallelo suggestivo tra il santo e il filosofo Empedocle. Entrambi, a distanza di dieci secoli, incarnano lo spirito di Agrigento, città di scienza e sapienza. Sia Empedocle che Gregorio attinsero alle conoscenze dell’Oriente, il primo nelle scienze fisiche, il secondo in quelle teologiche. Entrambi eccelsero nei loro campi, lasciando un’impronta indelebile. Se Empedocle svelò leggi cosmiche in un’epoca in cui la scienza era ancora agli albori, Gregorio approfondì i misteri della fede, diventando un punto di riferimento per la cristianità. Empedocle, secondo la leggenda, salvò la panteista agrigentina da una morte apparente. Gregorio, invece, compì guarigioni miracolose, soprattutto su paralitici e ossessi. Ma entrambi, al di là dei prodigi, si distinsero per il loro impegno verso la comunità.
- Empedocle si batté per migliorare i costumi del popolo, elevandolo verso una spiritualità più profonda, come testimonia il suo poema “Le Purgazioni”.
- Gregorio, animato da una fervente fede, predicò con passione, esortando i suoi concittadini alla moralità e alla rettitudine, come dimostrano le sue “Omelie sull’Ecclesiaste”.
Empedocle condivise le sue ricchezze con il popolo, dotando le vergini povere. Gregorio, pur essendo anch’egli ricco, imbandì mense pubbliche per vedove e orfani, offrendo soccorso e dotando a sua volta le giovani donne. Entrambi, con la loro generosità, dimostrarono un profondo senso di responsabilità sociale. Empedocle, nel contesto della democrazia, tuonò in senato a difesa delle istituzioni e della libertà. Gregorio, in un’epoca di dispotismo imperiale, usò la sua voce potente nei sinodi e dal pulpito per denunciare l’arroganza dei ricchi, i cattivi costumi e l’eterodossia. Due forme di eloquenza diverse, adatte ai tempi, ma con lo stesso scopo: proteggere il popolo dalle ingiustizie, dall’immoralità e dagli errori. Empedocle, “bocca soavissima”, e Gregorio, “lingua di fuoco”, furono entrambi strumenti di verità e giustizia. Mons. Lancia di Brolo, storico della Chiesa in Sicilia, definisce Gregorio Agrigentino “uno degli uomini più illustri che abbia avuto la Sicilia nei primi dieci secoli del Cristianesimo“, sottolineando la sua grandezza e il suo contributo alla storia. Sandro Leanza, studioso contemporaneo, lo considera “l’ultimo grande esegeta della patristica greca”, evidenziando l’importanza del suo “Commento all’Ecclesiaste” come una delle opere più significative della letteratura patristica.

La vita di San Gregorio di Agrigento
Gregorio nacque nel 559 in un sobborgo di Agrigento. I suoi genitori, Carito e Teodota, erano benestanti e timorati di Dio. A otto anni, Gregorio fu portato in città per essere istruito dal vescovo Potamio e dal grammatico Damiano. A dodici anni, fu iscritto tra i chierici e affidato all’arcidiacono Donato per l’istruzione nelle scienze divine. La lettura della vita di San Basilio lo affascinò e suscitò in lui il desiderio di visitare i luoghi Santi e l’Oriente. A diciotto anni, nel 577,realizzò il suo desiderio, recandosi a Cartagine, Tripoli e, l’anno successivo, in Palestina con alcuni monaci. Dopo un anno in un monastero, probabilmente dei seguaci di San Saba, fu ordinato diacono a Gerusalemme nel 579. Visitò vari monasteri sul Monte Oliveto e si ritirò in una regione desertica per studiare e dedicarsi agli esercizi ascetici sotto la guida di un vecchio monaco.
Nel 585 tornò a Gerusalemme e l’anno seguente si recò ad Antiochia, dove diede prova della sua scienza teologica e arte oratoria. Nel 587 giunse a Costantinopoli, dove fu apprezzato dai superiori e dal Patriarca. Partecipò al Concilio del 588, difendendo la dottrina ortodossa e suscitando l’ammirazione dell’imperatore e dei vescovi. L’anno seguente si recò a Roma, dove visse nel monastero di San Saba. Nel frattempo, ad Agrigento, il clero e il popolo erano divisi sull’elezione del nuovo vescovo, successore di Potamio o Eusanio. Dopo lunghe discussioni, le due fazioni principali elessero i propri candidati: il diacono Crescentino e il presbitero Sabino. Secondo Lellia Cracco Ruggini, i contrasti sull’elezione di Gregorio sarebbero stati motivati da quelli tra i notabili locali e i Bizantini, nuovi conquistatori della Sicilia. Tuttavia, al momento dell’elezione, i contrasti sorsero tra due candidati che non potevano essere considerati espressione della parte latina o greca.
Non essendo possibile una conciliazione, una delegazione di Agrigentini si recò a Roma e ottenne dal papa che avocasse a sé la scelta del vescovo, che cadde su Gregorio nel 590. Tornato ad Agrigento nel 591, il giovane vescovo si dedicò all’attività apostolica, alle opere di carità e alla formazione del clero, guadagnandosi l’ammirazione e l’amore dei fedeli. Tuttavia, i due partiti non si erano placati e cominciarono a tramare contro di lui, ricorrendo alla calunnia. Una notte, Sabino e Crescentino corruppero i custodi della casa del vescovo e introdussero nel suo letto una giovane di facili costumi chiamata Evodia. Quando Gregorio stava per tornare nella sua abitazione, i due, con un gruppetto di seguaci,fingendo di aver sorpreso la giovane nel letto del vescovo, la condussero fuori, gridando: “Ecco il delitto del nostro vescovo! È indegno di occupare questa cattedra apostolica!”.
Gregorio fu imprigionato e mandato a Roma. Il papa, dopo aver ricevuto i documenti necessari, celebrò il processo e lo riconobbe innocente. Gregorio poté tornare ad Agrigento nel 595. Durante la prigione, i nemici avevano insediato Leucio sulla sua cattedra. Gregorio, ritenendola contaminata da quell’eretico, ottenne dall’imperatore di poter adibire a chiesa cristiana un antico tempio pagano, quello oggi chiamato della Concordia, dedicato a Ercole e Trittolemo. Il santo lo adattò a chiesa aprendo degli archi nella cella e lo dedicò agli apostoli Pietro e Paolo nel 597.
“Scrutate le Scritture”
Dalla vita di San Gregorio, scritta da Leonzio, si apprende che il santo compose numerosi scritti e discorsi, tra cui orazioni sui dogmi pronunciate ad Antiochia, discorsi dottrinali ed elogiativi tenuti a Costantinopoli e omelie al popolo sui dogmi della fede, il digiuno, il principe degli Apostoli e altri argomenti. Tutti questi scritti sono andati perduti. Di Gregorio di Agrigento rimane solo il suo Commento all’Ecclesiaste, intitolato Exeghesis eis Ecclesiasten o Explanatio super Ecclesiasten. L’opera fu pubblicata per la prima volta da Stefano Antonio Morcelli a Venezia nel 1791 e successivamente inserita nel volume 98 della Patrologia Greca del Migne. Si ritiene che il commento sia stato scritto da San Gregorio durante il suo soggiorno ad Agrigento, dopo che il Papa ebbe riconosciuto la sua innocenza. Pertanto, è un’opera della sua maturità, se non degli ultimi anni di vita, come sostiene Alessio Narbone. Il commento gregoriano nasce dal comando divino “Scrutate le Scritture” e dal desiderio di arricchirsi interiormente e di arricchire le anime attraverso la meditazione sulla dottrina contenuta nei libri sacri. Gregorio non si limita al significato letterale, ma riflette per sondarne le profondità, vagliarne i molteplici aspetti e trarne ammaestramenti per correggere la propria condotta e camminare sulla via della salvezza.
- L’Ecclesiaste e la ricerca del significato oltre il velo dell’apparenza. Nel commento all’Ecclesiaste, Gregorio non si limita a un’interpretazione letterale, ma intraprende un viaggio metafisico alla ricerca del significato più profondo dell’esistenza. Egli riconosce che le parole del libro sacro spesso celano verità più elevate, accessibili solo attraverso un’analisi allegorica e anagogica.
- La vanità delle cose terrene e la transitorietà dell’Essere. Gregorio contempla la vanità delle cose terrene, riconoscendo la transitorietà dell’esistenza umana. Le passioni, i desideri e le ambizioni sono visti come ombre fugaci, prive di sostanza duratura. Questa consapevolezza conduce a una profonda riflessione sulla natura dell’essere e sulla ricerca di un significato che trascenda la caducità del mondo materiale.
- Il timore di Dio come via verso la verità ultima. Il timore di Dio non è inteso come paura, ma come riconoscimento della presenza di un principio superiore, un’entità metafisica che ordina e governa l’universo. L’osservanza della legge divina diventa quindi un percorso di avvicinamento a questa verità ultima, un modo per superare la limitatezza dell’esperienza sensoriale e accedere a una dimensione più elevata dell’essere.
- La dialettica con il passato e l’originalità del pensiero. Gregorio non teme di confrontarsi con le interpretazioni dei Padri precedenti, dimostrando una notevole indipendenza di pensiero. In un’epoca dominata dalla compilazione di catene di commenti, egli emerge come una voce originale, capace di offrire nuove prospettive sulla natura dell’esistenza e sul rapporto tra l’uomo e il divino.
- L’Ecclesiaste come specchio dell’anima umana. Il commento rappresenta un’indagine metafisica sull’anima umana, un tentativo di svelare i misteri dell’esistenza attraverso la lente della fede e della ragione. Ci invita a guardare oltre le apparenze, a riconoscere la vanità delle cose terrene e a cercare un significato più profondo nella relazione con il divino.
Il commento di Gregorio non è solo esegesi scientifica, ma soprattutto espressione dell’ansia pastorale del santo per la rinascita spirituale del suo popolo. Pur nell’asistematicità delle osservazioni, l’opera è una piccola summa che abbraccia insegnamenti dogmatici, riferimenti alla Sacra Scrittura, al Dio Uno e Trino, all’incarnazione del Verbo, alla passione di Cristo e alla redenzione, all’Eucaristia, al peccato e alla grazia, alla Chiesa, all’escatologia, nonché temi ascetico-morali come la concezione cristiana dell’antropologia, la libertà e la legge, i vizi e le virtù, la perfezione cristiana. Considerata la prevalenza degli insegnamenti di carattere pastorale, è probabile che il commento non sia stato scritto per un singolo o un gruppo ristretto, ma per tutto il popolo di Agrigento, per la ripresa e il rinnovamento della vita ecclesiastica dopo le tristi vicende che avevano turbato la pace. Tuttavia, l’opera non ha un valore occasionale, limitato alle contingenze ambientali e storiche, ma universale e valido per tutti i tempi, perché le considerazioni di Gregorio sono una serie di riflessioni e verifiche spirituali.
Concludendo il suo scritto, Gregorio afferma che,
“ritmando con il timore di Dio la vita e custodendo i suoi salutari comandamenti, desideriamo sempre di piacere a Lui e, con ogni sforzo, ci impegniamo, secondo le possibilità umane, ad evitare ogni peccato, per conseguire una beata fine e nel giorno del giudizio essere annoverati con i giusti, tra gli eredi”.
Con queste parole, Gregorio di Agrigento conclude la spiegazione del “sigillo” dell’Ecclesiaste, sigillando al contempo la natura e lo scopo prevalentemente pastorali del suo commento al libro sacro.

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
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