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“Dolze meo drudo”. Un canto d’addio tra echi di Minnesang e la corte di Federico II

Nel cuore pulsante della Scuola siciliana, un gioiello lirico emerge con il titolo di “Dolze meo drudo“.

Questa struggente canzone, attribuita a Federico II di Svevia o quantomeno legata alla sua corte illuminata, si rivela un dialogo intenso e commovente tra due amanti, costretti a separarsi per volere del destino. Come sottolinea Monteverdi, “Dolze meo drudo” si configura come un canto d’addio, un motivo popolare e tradizionale che riecheggia in altre opere della nostra antica poesia. Tuttavia, ciò che rende questa canzone unica è la sua straordinaria vicinanza al Minnesang, la tradizione lirica medievale germanica. Dronke evidenzia come l’autore di “Dolze meo drudo” conoscesse a fondo il Minnesang, non solo negli aspetti formali, ma anche nei temi e nelle dinamiche emotive. La partenza forzata dell’amante, il dolore della separazione, i ricordi sensuali e il desiderio ardente della dama sono tutti elementi che ricorrono nei Wechsel dei Minnesänger, i dialoghi poetici tra il poeta e la sua amata. “Dolze meo drudo” non è solo un esercizio di stile o una rielaborazione di temi preesistenti. È un’esplosione di sentimenti autentici, un grido d’amore che si eleva al di sopra delle convenzioni e delle formalità. La dama, pur mantenendo un tono cortese, non nasconde il proprio desiderio e la propria sofferenza per la partenza dell’amato. La sua voce si intreccia con quella dell’amato in un contrappunto di emozioni contrastanti: l’amore, la passione, la paura, la speranza. La melodia che ne scaturisce è un’ode struggente alla fragilità dei legami umani e alla forza ineluttabile del destino.

Un confronto con Falquet de Romans

Rapisarda propone un interessante confronto tra “Dolze meo drudo” e i primi versi di “Una chanso sirventes” di Falquet de Romans, un componimento che rappresenta anch’esso un congedo tra amanti. In entrambi i testi, il tema della partenza e del dolore per la separazione è centrale, ma mentre “Dolze meo drudo” si concentra sull’intensità emotiva del momento, “Una chanso sirventes” introduce anche elementi narrativi e politici.

Falquet de Romans, infatti, evoca allusivamente la figura di Federico II, suggerendo che anche il re, come gli amanti protagonisti della sua canzone, conosce il valore della fedeltà e della giustizia. Questo parallelismo tra la sfera privata e quella pubblica sottolinea l’importanza dei valori cortesi e cavallereschi nella società medievale.

Una melodia ritrovata

“Dolze meo drudo” è l’unico componimento della scuola siciliana di cui ci sia pervenuta una notazione musicale. Questa melodia, che risale probabilmente al XIV secolo, ci offre uno sguardo prezioso sulla prassi esecutiva e sulla ricezione di questa canzone nel tempo. Come sottolinea Pirrotta, la musica di “Dolze meo drudo” suggerisce una sua interpretazione come ballata, una forma musicale e poetica più popolare e diffusa nel XIV secolo rispetto alla canzone. Questa “misinterpretazione” ci indica che il componimento era già sentito come un testo “popolaresco”, capace di toccare il cuore del pubblico con la sua immediatezza emotiva e la sua melodia coinvolgente. La riscoperta della notazione musicale di “Dolze meo drudo” ci permette di apprezzare ancora più a fondo la sua bellezza e la sua originalità. La melodia, con la sua dolcezza malinconica, esalta l’intensità emotiva del testo e ci trasporta in un mondo di passioni e di sentimenti autentici

Un tesoro della lirica siciliana

“Dolze meo drudo” rappresenta un tesoro inestimabile della lirica siciliana, un ponte ideale tra la tradizione popolare e la raffinatezza della Scuola siciliana, tra il Sud e il Nord dell’Europa. La sua riscoperta e la sua valorizzazione ci permettono di apprezzare appieno la ricchezza e la complessità della produzione poetica legata alla corte di Federico II, un crocevia di culture e di influenze che ha saputo dare vita a capolavori immortali.

Articolo di: FRANCESCO RIZZO

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