Una delle poesie d’amore più belle di sempre. E certamente la prima a potersi dire autenticamente e linguisticamente Italica. L’amore, un intreccio di miraggi e palpiti, non è solo carne, ma visione interiore. Un’immagine dipinta nel cuore, un riflesso d’anima, dove desiderio e contemplazione si fondono in un tutto. Il corpo, tempio dell’anima, non prigione, ma strumento di un agire concreto e libero. La vita dell’anima si rivela attraverso i sensi, e l’amore è il linguaggio che li unisce. Cinque strofe, come cinque atti di un dramma interiore, con versi che danzano al ritmo del cuore. Settenari e endecasillabi, uniti da rime evocative, creano un’armonia che incanta e seduce. Un canto d’amore che parla all’anima, un viaggio interiore tra memoria e desiderio. Un’immagine, uno sguardo, un palpito, e l’amore si rivela in tutta la sua bellezza.
De le mia disïanza
c’ò penato ad avire,
mi fa sbaldire – poi ch’i’ n’ò ragione,
chè m’à data fermanza
com’io possa compire5
[ lu meu placire ] – senza ogne cagione,
a la stagione – ch’io l’averò [‘n] possanza.
Senza fallanza – voglio la persone,
per cui cagione – faccio mo’ membranza.
A tut[t]ora membrando10
de lo dolze diletto
ched io aspetto, – sonne alegro e gaudente.
Vaio tanto tardando,
chè paura mi metto
ed ò sospetto – de la mala gente,15
che per neiente – vanno disturbando
e rampognando – chi ama lealmente;
ond’io sovente – vado sospirando.
Sospiro e sto ’[n] rancura;
ch’io son sì disioso20
e pauroso – mi face penare.
Ma tanto m’asicura
lo suo viso amoroso,
e lo gioioso – riso e lo sguardare
e lo parlare – di quella criatura,25
che per paura – mi face penare
e dimorare: – tant’è fine e pura.
Tanto è sagia e cortise,
no creco che pensasse,
nè distornasse – di ciò che m’à impromiso.30
Da la ria gente aprise
da lor non si stornasse,
che mi tornasse – a danno chi gli ò offiso,
e ben mi à miso – [ . . . -ise]
[ . . . -ise] – in foco, ciò m’è aviso,35
che lo bel viso – lo cor m’adivise.
Diviso m’à lo core
e lo corpo à ’n balìa;
tienmi e mi lia – forte incatenato.
La fiore d’ogne fiore40
prego per cortesia,
che più non sia – lo suo detto fallato,
nè disturbato – per inizadore,
nè suo valore – non sia menovato,
nè rabassato – per altro amadore.
La poesia è un vivido esempio di come il sentimento amoroso potesse trovare espressione anche in un contesto storico e culturale apparentemente distante dalla sensibilità moderna. Attraverso un linguaggio ricercato e una metrica raffinata, il sovrano siciliano ci offre uno spaccato della sua interiorità, rivelando un animo profondamente segnato dalla passione amorosa. Il termine “disïanza”, che apre la poesia, è già di per sé significativo. Non si tratta di un semplice desiderio, ma di un sentimento intenso e struggente, che pervade l’animo del poeta. Federico II non nasconde la sua sofferenza (“ò penato ad avire”), ma nemmeno la gioia che deriva dalla consapevolezza di essere ricambiato (“mi fa sbaldire”). La figura femminile, pur rimanendo sullo sfondo, è idealizzata e celebrata attraverso una serie di aggettivi che ne esaltano le qualità: “saggia”, “cortise”, “fine”, “pura”. La donna amata è un vero e proprio “fiore d’ogne fiore”, un modello di perfezione che incarna tutte le virtù.

L’amore, tuttavia, non è solo fonte di gioia, ma anche di timore. Federico II teme l’interferenza di “mala gente” che potrebbero ostacolare il suo amore, e il timore di non vedere soddisfatto il suo desiderio lo getta in uno stato di angoscia (“Sospiro e sto ‘n rancura”). Ma la speranza non lo abbandona mai, alimentata dalla “viso amoroso” e dal “gioioso riso” della donna amata. L’amore descritto è un sentimento totalizzante, che coinvolge sia il corpo che l’anima. Il poeta si sente “forte incatenato” dalla passione, incapace di liberarsi dal giogo amoroso. Un amore che, pur nella sua intensità, non sembra lasciare spazio ad altre priorità, tanto da spingere il sovrano a invocare la protezione della donna amata contro chiunque osi ostacolarlo. La metrica è precisa e armoniosa, con l’alternarsi di versi settenari e ottonari che creano un ritmo coinvolgente. Il linguaggio è ricco di figure retoriche, come l’anafora (“Tanto è…”), l’antitesi (“paura… asicura”) e l’iperbole (“fiore d’ogne fiore”).
“De le mia disïanza” è un’opera che, a distanza di secoli, continua a emozionare e a far riflettere sulla complessità dei sentimenti umani. La poesia di Federico II ci ricorda che l’amore, in tutte le sue forme, è un’esperienza universale che accomuna uomini e donne di ogni epoca. Un’eredità preziosa che merita di essere conosciuta e valorizzata.
Articolo di: FRANCESCO RIZZO
