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Quando Dante “imparò” l’italiano alla corte di Federico II – Stupor Mundi

Per tutti i letterati del mondo il Padre della Lingua italiana è Dante Alighieri. La sua poesia, ma la sua opera in generale, furono in grado di costruire il nuovo universo linguistico dal quale si sviluppò la nostra cultura attuale.

Come Dante sapeva perfettamente però, una lingua non è un oggetto statico che rimane sempre uguale a se stesso ma un organismo vivo, in grado di adattarsi a commistioni culturali, mutamenti politici e cambiamenti sociali.

Naturalmente anche la lingua di Dante, così come la sua poetica, non nacquero dal nulla. Il Sommo Poeta accolse le suggestioni, i motivi e le forme  linguistiche di un importantissimo gruppo di letterati che gravitò intorno alla gigantesca figura di Federico II, re di Sicilia e superbo mecenate.

Indice

La Scuola Siciliana

La corte di Federico II di Svevia ebbe in Palermo la sua sede ufficiale. Al centro del Mediterraneo e sotto la gloriosa egida di Federico, Palermo si trasformò rapidamente in un crocevia di popoli, di culture, di conoscenze e di lingue differenti.

Non stupisce quindi se proprio a Palermo, grazie alle suggestioni arrivate dalla Francia sulle rime dei trovatori, nacque quella che passò alla storia come Scuola Siciliana.

La Scuola riuniva poeti che scelsero di nobilitare la lingua volgare, utilizzandone una versione aulica, adatta a veicolare opere poetiche di altissimo livello letterario.

La portata rivoluzionaria di questa scelta si comprende facilmente pensando che, prima di allora, il volgare era stato confinato esclusivamente all’interno di un banale utilizzo quotidiano.

Alla fine del XII secolo, quando cioè Federico II regnò sulla Sicilia, la lingua della poesia e dell’arte letteraria era ancora il Latino. 

Coerentemente, le uniche forme poetiche ancora conosciute e praticate erano quelle dei classici ma anche in questo la Scuola Siciliana operò una rivoluzione destinata a generare cambiamenti epocali.

Una rivoluzione poetica

Una delle più grandi innovazioni nate in seno alla scuola siciliana fu la creazione del sonetto, quella forma poetica completamente italiana che tanto spazio e tanta importanza avrebbe avuto nella storia della letteratura del nostro Paese.

Secondo la tradizione fu Giacomo Da Lentini, caposcuola dei poeti siciliani, a formalizzare il sonetto per come ancora oggi lo conosciamo. Proprio in virtù del suo enorme prestigio venne citato proprio dall’Alighieri nella sua Divina Commedia nel XXIV canto del Purgatorio.

Per quanto riguarda invece lo stile dei Poeti della Scuola Siciliana, esso era ricchissimo di immagini e faceva continui riferimenti alla natura rigogliosa e suggestiva dell’isola di Sicilia. 

Vista su leggio del Volume su Federico II – Stupor Mundi

I siciliani furono inoltre i primi a dedicare completamente la propria produzione poetica all’amore in tutte le sue sfaccettature e alla figura della donna.

Nella poesia cortese di scuola siciliana la donna diventa esempio di perfezione incarnata, assume su di sé tutte le virtù e si pone in una posizione in tutto superiore a quella dell’amante, il cui unico compito è quello di adorare la donna in quanto oggetto di amore assoluto.

Non è difficile individuare in questa breve descrizione la quintessenza del rapporto che lega gli stilnovisti alle proprie donne e naturalmente Dante a Beatrice.

Dante alla scuola dei Siciliani

Dante Alighieri nacque nel 1265, quasi in perfetta corrispondenza con la fine del dominio di Federico II sul Regno di Sicilia. Per questo motivo i destini poetici di Dante e dei Siciliani avrebbero potuto non incontrarsi mai.

Fortunatamente le opere che videro la luce all’interno dei circolo della Scuola Siciliana vennero tramandate da copisti toscani. Una inestimabile copia del corpus dei siciliani ha permesso ai componimenti di epoca federiciana di giungere fino a noi ed è attualmente conservato in Vaticano.

lumeggiatura in oro pantone
Tavola del Volume Federico II – Stupor Mundi edito da StuporArt Srl

Il manoscritto vaticano ha l’enorme pregio di riportare tutte le opere in ordine cronologico e informa assolutamente inalterata, dando a tutti i fortunati che hanno avuto modo di sfogliarlo nel corso dei secoli un’idea precisa dell’opera letteraria dei Siciliani. È logico pensare che anche gli altri scritti di quel tipo avessero un’organizzazione simile e costituissero, per loro propria natura, uno strumento preziosissimo per lo studio della poesia in lingua siciliana.

Per molti studiosi di Dante, il Poeta ebbe modo di studiare i siciliani proprio da un manoscritto simile. Egli ebbe quindi modo di formare la sua poetica alla corte di Federico II, anche se in maniera mediata e indiretta.

A dimostrazione di questa tesi sta il fatto che l’Alighieri citò la Scuola Siciliana nel suo De Vulgari Eloquentia. Per indicare la grande rilevanza dei poeti siciliani all’interno della storia della Poesia in volgare, e anche all’interno della propria formazione artistica, Dante li definì “uomini che hanno poetato solennemente, ciò a che, tutto quello che produssero i migliori fra gli italiani, appariva dapprima nella corte di tanti sovrani, e per il fatto che la corte avesse sede in Sicilia, è avvenuto che tutto ciò che si è prodotto prima di noi, fu detto siciliano”.

Bisogna anche riportare però che i copisti toscani che si occuparono di trascrivere e tramandare il corpus letterario prodotto dalla scuola siciliana ebbero cura di creare delle versioni toscanizzate dei vari testi, in maniera da renderli più leggibili e quindi più facilmente fruibili da persone che non fossero di lingua siciliana.

Quest’abitudine dei copisti di lingua toscana fa sì che, con ogni probabilità, Dante abbia studiato i siciliani su un testo già parzialmente “tradotto” in una lingua che gli fosse familare.

L’Alighieri ha quindi potuto far propri con estrema facilità tutti i topos, le scelte stilistiche e quelle tematiche dei grandi poeti siciliani.

In virtù di questo, moltissimi studiosi sono ormai concordi nell’affermare che la poesia siciliana abbia avuto un’estrema influenza sulla lingua di Dante e quindi, sul  lungo periodo, anche su quella italiana.

La funzione di Federico II

Se la poesia in lingua siciliana ebbe tanta facilità a essere compresa e in qualche modo adottata anche da poeti non siciliani lo si deve al fatto che la lingua della Scuola deriva direttamente dalla lingua parlata nella Magna Curia, cioè alla corte di Federico.

Quella lingua prendeva a piene mani dal siciliano, ma vi innestava espressioni francesi e provenzali nonché una grande quantità di latinismi.

Per questo il linguaggio dei poeti di Federico II ebbe immediatamente carattere sovraregionale, sia in virtù della diversa provenienza dei membri della corte dell’Imperatore, sia in virtù della capacità della lingua di creare continuamente neologismi inglobando da altre lingue parole e concetti che all’epoca erano estremamente moderni.

Si può dire quindi che l’Italia esistesse già, anche se in uno stato embrionale, alla corte di Federico II e che proprio lì nacque la lingua destinata a diventare, anche per opera del Sommo Poeta, la radice del nostro italiano.

Questo articolo ha 3 commenti

  1. Paola Faroci

    Interessantissimo.
    Grazie infinite

    Professoressa Paola Faroci

  2. Paola Faroci

    Veramente un’ottima lezione da proporre anche in classe.
    Chiara , semplice, ma completa.

    Grazie infinite.

    Professoressa Paola Faroci

    1. stuporart

      Grazie e complimenti a Lei per la passione che mette nella Sua professione.

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